Pino lavoratore effimero. Lettera di protesta contro i tagli dei frontalieri.
Riceviamo e pubblichiamo:
Buongiorno egregio direttore, mi chiamo Pino Marino e da decenni ormai svolgo in Repubblica la mia mansione lavorativa con scrupolo e dedizione in riferimento a quanto richiestomi.
In tutti questi anni poi, insieme a tutti i miei compagni frontalieri di reparto, mai abbiamo richiesto adeguamenti del trattamento economico o delle condizioni lavorative, anzi ci siamo integrati nel territorio alla stregua dei nostri colleghi indigeni, felici e soddisfatti di svolgere al meglio la nostra opera, considerandoci, dopo il tanto tempo trascorso sul monte Titano, praticamente autoctoni. Talmente integrati che, se avessimo ricevuto il diritto di voto, avremmo dato tutti la preferenza unica a Michelotti. Quella volta. Adesso no di sicuro.
E’ vero che ultimamente si legge che l’occupazione dei lavoratori frontalieri è sensibilmente aumentata in percentuale a danno dei lavoratori sammarinesi, ma l’insediamento della nostra colonia nel territorio è ormai lontano nel tempo e, oltre a disparati piccoli gruppi, come ben tutti sanno, grandi insediamenti di membri della nostra popolazione sono altresì presenti in zone strategiche di San Marino, nelle quali incessantemente da sempre svolgiamo al meglio la nostra attività per il bene della comunità.
Di contro, purtroppo, è recente la triste notizia di ulteriori tagli di personale verso il nostro settore, che hanno colpito altri ventuno membri della nostra categoria.
Quindi siamo abbastanza perplessi e depressi, anche se non siamo cipressi, nel constatare come, ultimamente, molti nostri colleghi vengono distolti dalla loro funzione, letteralmente sradicati dal tessuto sociale, abbattuti nel morale e nel fisico.
Ma noi siamo esseri tosti, scolpiti con l’accetta – si fa per dire, eh – abituati a lavorare al meglio in ogni condizione climatica e atmosferica, siamo quelli che mangiano anidride carbonica e cagano ossigeno, educati da sempre ai fatti e non alle pugnette. Non alle seghe però, quelle ci fanno paura.
Pino Marino
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